Bivacco Gervasutti (parte II)

3 Febbraio 2012 § 0 commenti § permalink

Alp 277 Bivacco Gervasutti

Mentre forse trovate ancora in edicola (se non lo trovate più lo potete sempre scaricare qui) il numero 277 di Alp con il mio servizio sul Bivacco Gervasutti che si è guadagnato la copertina del giornale, proprio in questi giorni la rivista francese Alpes (numero 133) ha pubblicato un articolo illustrato dalle mie foto. Mi rendo conto dell’ironia di pubblicare foto relative ad un medesimo argomento su due riviste di montagna dal titolo omofono (ma non omografo) però giuro che sono pubblicazioni indipendenti l’una dall’altra!

Alpes Magazine 133 Refuge Gervasutti

Dopo il primo resoconto, mi ero ripromesso di scrivere qualcosa a proposito della realizzazione di un servizio così complicato. Ci provo adesso.

Partiamo col dire che il progetto architettonico e costruttivo era di per sé complesso. Era il primo edificio del genere mai assemblato, mai portato in quota e mai montato e c’erano dunque da risolvere numerose difficoltà tecniche da parte sostanzialmente di tre categorie: architetti/costruttori, elicotteristi e montatori specializzati che avrebbero lavorato in quota. Ora è chiaro che chi va lì per fare le foto mette le proprie esigenze in coda a quelle di tutti gli altri cercando poi al momento giusto di far valere quelle due o tre richieste che fanno la differenza fra il fare o non fare una foto, fra il farla da schifo o portare a casa una buona immagine. Si aggiunga a questo che c’erano sul posto altri operatori foto-video più o meno embedded, più o meno importanti (vuoi non dare una priorità al cameraman RAI? eh, no, capisco e mi adeguo). Quindi dopo aver fatto le prime foto del montaggio a Courmayeur al momento di organizzare lo shooting in quota iniziano a porsi i primi problemi. Per chi non lo sapesse, il rifugio è infilato in una valle laterale della Val Ferret a qualcosa come 3-4 ore di cammino su terreno difficile e con passaggi di roccia. Si valutano quindi le seguenti possibilità: salire a piedi un giorno in cui il rifugio è finito e fare le foto. Salire a piedi il giorno stesso del montaggio e fare le foto. Salire a piedi il giorno prima del montaggio, bivaccare (in modo da essere sicuri di esserci al momento giusto), e fare le foto il giorno dopo. Ottenere un passaggio in elicottero. Pagare/Farsi pagare un passaggio in elicottero.

Alpes Magazine 133 Refuge Gervasutti

E’ evidente che salire insieme alla squadra di operai sarebbe la soluzione migliore, tuttavia è anche la cosa più difficile da ottenere vista anche la presenza di altri colleghi. Nelle settimane che precedono i lavori, mentre altri risolvono i problemi relativi al montaggio e si aspettano le condizioni meteo favorevoli io contatto a ripetizione: gli architetti, l’ufficio stampa CAI, il comune di Courmayeur, gli elicotteristi, l’impresa di costruzioni, la redazione di Alp (per cui sto preparando il pezzo). Dopo innumerevoli “forse” arriva finalmente un “forse sì” e arriva anche una data: giovedì. Bene, anzi no. Mercoledì pomeriggio ricevo una telefonata da una delle poche persone con cui non ho parlato fino a quel momento, è già in macchina e sta salendo in Valle con un altro fotografo perché entro sera vogliono provare a portare su almeno la base. Cavoli! Non riesco ad essere su in tempo, chiedo conferma che i lavori continueranno il giorno dopo. Quando ci risentiamo a sera scopro che in poche ore hanno già montato 3 moduli su 4 più la base, resta da montare l’ultimo pezzo ma non è detto che ci sia posto per me sull’elicottero. Va beh, decido di andare su la sera stessa per capire cosa si riesce a fotografare. Arrivo in macchina sul posto, tiro fuori il sacco a pelo e dormo lì. Prima dell’alba cominciano ad arrivare le altre macchine. Ci si conta, ci si presenta, ci si prepara, ma di certezze sul mio lavoro ce ne sono ancora poche. Prima del sole arriva anche l’elicottero, il suono si sente da lontano prima che la sua ombra nera si stagli contro la sagoma dell’Aiguille Noire (vedi foto).

Aiguille Noire Helicopter

Poi in un attimo qualcuno chiede “quante persone ci sono da portare su?”, vengo incluso nel conteggio, è fatta.

Pochi minuti dopo arrivo sul ghiacciaio solo per vedere l’elicottero che sale, passa e scende riportando a valle l’ultimo modulo perché è troppo pesante. Il resto della giornata trascorre sulla cengia fotografando i lavori di sistemazione e aspettando un nuovo tentativo di trasporto che non ci sarà.

A sera si scende e si fa il punto della situazione: forse domani. Con una faccia tosta senza limiti trovo qualcuno che mi ospiti la notte ad Aosta (risparmiare un po’ di chilometri, tempo e sonno non è una cattiva idea) e il mattino dopo sono di nuovo in Val Ferret. Non succede molto fino a dopo pranzo, poi nel pomeriggio finalmente arriva l’elicottero e nel giro di pochi minuti si monta il tutto. Abbracci, sorrisi. A sera invece di scendere decido di restare a passare la prima notte nel rifugio. Siamo in due, abbiamo da mangiare anche se io sono senza sacco a pelo. Ma il freddo e la notte insonne valgono la possibilità, grazie anche alla luna piena, di fare delle splendide foto dal tramonto all’alba della struttura finalmente finita e senza persone attorno. La mattina dopo, stanco dalle notti in bianco, con uno zaino di 13 chili pieno zeppo di attrezzatura fotografica scendo la pietraia (grazie, riscaldamento globale! Una volta era tutta neve) che sembra non finire mai.

Alpes Magazine 133 Refuge Gervasutti

Ecco come le foto del montaggio dell’ultimo modulo che dovevano durare poche ore si sono trasformate in una trasferta imprevista di tre giorni. Casa, doccia e via a scaricare le immagini. Ne è valsa la pena, no?

Una galleria di immagini è adesso anche sul mio sito.

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ENGLISH TRANSLATION

(Kindly provided by Ricarda)

You might still find number 277 of Alp containing my reportage about the refuge Gervasutti at the kiosk (if not just download it here), where my photo made it to the cover. However, now the French magazine Alpes (number 133) published an article showing my photos. It is quite ironic that I have pictures about the same topic published in two mountain magazines with almost the same name, but believe me, they are absolutely independent from one another!

After a first summary I was determined to write about the difficulties of such a photographic service. I will give it a try now.

Let me say that the architectural and construction project was already very complex by itself. We are talking about the first assembled building of its kind, as it has never been done in high altitude and never been assembled before. Therefore there had been quite a number of technical problems concerning mainly three topics: architects and construction workers, helicopter pilots and fitters who needed to work in high altitude. It goes unsaid that if you want to go and take your pictures your needs obviously come last. Your job is to try to get the best out of a couple of questions that make the difference between taking or not taking a picture, getting a good shot or not getting anything decent. Furthermore there were other photographers and video services of major and minor importance (The cameraman from RAI does come first. I understand that and I try to adapt.) After taking a couple of first shots of the assembly at Courmayeur I needed to organize the shooting in altitude and problems started to arise. In case you did not know the refuge can be found in a small valley next to Val Ferret. It takes about 3-4 hours of hiking on difficult ground, some of that even on rock. There are 5 possibilities as to how to get the shooting done: Hike up on foot one day after the refuge is completed and take pictures. Hike up the same day of the assembly and take pictures. Hike up one day before assembly, sleep there (just to be sure you will be there at the right time) and take pictures. Get a lift in the helicopter. Pay or have someone pay for a lift in the helicopter.

It is quite obvious that getting up there with the fitters would have been the best solution, alas it was also the most difficult thing to implement since I was surrounded by fellow photographers. During the weeks before the works, while others solved problems regarding assembly and organisation and everyone is waiting for the right meteorological conditions, I am repeatedly calling: the architects, the CAI’s press office, the municipal administration of Courmayeur, the helicopter pilots, the construction firm, the editorial staff of Alp (I am writing the article for them). After countless “maybe” finally I get a “maybe yes” and a date: Thursday. Perfect. No, wait. Wednesday afternoon I get a call from one of the few people I had in fact not talked to yet. He was already driving up the valley with another photographer since they decided to bring up at least the base until evening. Oh crap! I will not make it in time, so I ask if the works will continue the next day. Next time we speak I find out that in a couple of hours they managed to assemble 3 modules out of 4. The last piece will be moved the next day, but a doubt remains on whether there will be a place for me on the helicopter. Oh well, I decide to drive up that very same evening to try and find out what I will be able to shoot. Once I arrive I spend the night in my sleeping bag in the car. Before sunrise more cars arrive. A quick count, some presentations, more preparations. Only I have no certainties about my work. Even the helicopter arrives before the sun. I could hear the sound way before his black silhouette could be seen against the outline of the Aiguille Noire (see picture).

And somehow suddenly someone asks: “How many are there to take up?”, I am included in the count, it is done.

I arrive on the glacier only a couple of minutes later and have to watch the helicopter moving up the last piece, passing by and moving back down the valley with the last module. It was too heavy. I spend the day on that little ledge shooting the works, waiting for a second attempt to bring up the piece that will never come.

Getting back to Courmayeur in the evening the decision is: maybe tomorrow. With a certain impudence I actually find someone who can host me for one night in Aosta (saving a couple of km, time and sleep is not a bad idea) and the next morning I am back again in Val Ferret. Not much happens until after lunch. Then in the afternoon the helicopter arrives and within a couple of minutes everything is set and done. Hugs, smiles. In the evening I decide to stay and spend this very first night in the refuge. Actually there is two of us, we have something to eat, but I did not bring my sleeping bag. But who cares about the cold and night when you have the possibility to take some amazing pictures with the full moon out of the whole structure, from sunset to sunrise, without anyone around. The next morning I am knackered from a night without sleep. With more than 13 kg of photographic equipment in my backpack I start hiking down the debris (Thank you so much global warming! All this used to be snow.) that somehow seems to have no end.

And that’s how the pictures of the last module and it’s assembly which were supposed to take up a couple of hours ended up as a mission of three days. Home, a nice shower and downloading the pictures. It was worthwhile though, wasn’t it?

You can find an image gallery on my site as well.

Prima notte al Gervasutti

17 Ottobre 2011 § 2 commenti § permalink

Grandes Jorasses e bivacco Gervasutti – Veduta notturna

Ho passato tre giorni in Val d’Aosta a fotografare il montaggio in quota del nuovo bivacco Gervasutti. Come potete vedere, una struttura molto interessante. E un lavoro complesso che avrò modo di raccontarvi.

In attesa di veder pubblicato il reportage completo, ho scritto un piccolo testo che potete leggere sull’edizione on-line di ALP.

E qualche foto in anteprima che ripubblico anche qui

L’elicottero porta il penultimo elemento

L’ardita posizione sopra il precipizio

In posa davanti alla spettacolare vetrata

Il fotografo si chiama Bonatti

14 Settembre 2011 § 0 commenti § permalink

Walter Bonatti (1930-2011)

Tanti anni fa andai a vedere una mostra di fotografia. Fu lì che conobbi Bonatti attraverso le sue foto. Come fotografo e viaggiatore dunque visto che l’alpinismo non era ancora entrato nei miei pensieri e ignoravo tutto delle scalate che gli avevano dato la fama.

All’epoca vagheggiavo di viaggi esotici e avevo cominciato a esplorare il mondo fuori dalle porte d’Europa. Ovviamente mi innamorai di quelle foto e di quello che raccontavano. Foto che celebravano un’epoca gloriosa del reportage di viaggio, un’epoca ormai finita.

Oggi ho cercato in rete ma non si trovano i suoi reportage per Epoca degli anni ’60-’70 (non sono abbastanza vecchio da averli visti in edicola). Leggendo i titoli sembra di avere a che fare con un fumetto di avventura: Carovana nella giungla, Trenta notti senza stelle, Senza fucile in mezzo ai leoni e così via.

Negli anni che hanno seguito quella mostra ho avuto modo di approfondire le imprese alpinistiche di Bonatti e ho comprato dei libri che raccontano cosa fosse il fotogiornalismo di Epoca (di Bonatti, De Biasi, Galligani).

Ma ricordo ancora l’emozione che mi diede una foto di quella mostra, in cui lui era accampato sotto le stelle da qualche parte in Patagonia davanti a un fuoco da campo su cui cuoceva un gigantesco trancio di carne.

Sigh

Melloblocco e fotografi

30 Agosto 2011 § 0 commenti § permalink

Un paio di mie foto del Melloblocco pubblicate su Bergsteiger e su Alp.

Photo of Adam Ondra at Melloblocco 2011

Adam Ondra on Alp

Barbara Zangerl photo at Melloblocco 2011

Barbara Zangerl on Bergsteiger

E qualche altra foto qui sotto.

Melloblocco 2011 Bouldering hands

Brush and climb

Per chi non lo sapesse (in fondo questo è ancora un blog di fotografia, anche se ultimamente fotografo sempre più in montagna) il Melloblocco è un grande (beh, probabilmente il più grande) raduno di bouldering al mondo. E il bouldering è quella specialità dell’arrampicata che prevede di salire dei massi più o meno alti senza corde o altra attrezzatura tranne un apposito materassino che attutisca la caduta.

Adam Ondra on Neanderthal at Melloblocco 2011

Adam Ondra on Neanderthal

La foto di Adam Ondra (in breve per i non arrampicatori: il più forte dei forti) che ha scelto Alp mi piace: c’è un bel gioco di sguardi fra lui che sta provando uno dei passaggi più duri e la sua ragazza che lo para (il paratore è quella persona che aiuta l’arrampicatore a cadere sul materassino). E a rendere il contesto da sinistra spunta un fotografo che sta facendo un video con la reflex. Mi piace. In fondo, come ho detto, è un grande evento ed è molto seguito, per cui è inutile fare finta di aver fatto la foto da soli in uno sperduto boschetto di montagna.

Quello che non si vede in fotografia è che dietro e di fianco a me c’erano decine di altre persone che seguivano la scena, tra cui alcuni fotografi e tanti altri che facevano le foto. Se non vi è chiara la differenza provate a leggere qui (parentesi: da notare la differenza fra il tono del post di Benedusi e la seriosità di certi commenti).

Insomma, riguardando la foto mi sono accorto che tutte le manifestazioni pubbliche che ho fotografato ultimamente (per la cronaca una manifestazione sportiva, una folcloristica e una serie di concerti) pullulavano di “persone dotate di reflex”. La cosa non mi dispiace, né potrei o vorrei limitare il numero di fotografi presenti. Per il momento mi limito a notare che l’accoppiata reflex digitali a basso costo + social network sta pompando masse di nuovi fotografi nell’arena.

Il che ha sicuramente delle implicazioni sul mercato fotografico ma forse ancora più forti sulla realtà fotografata. Considerato che l’arrampicata non è uno sport abbastanza popolare da generare fenomeni di divismo, ho trovato dirompente la pressione del pubblico (fotografi, cacciatori d’autografi, etc.) sui personaggi più famosi (Ondra e Sharma). Per fortuna bastava uscire un po’ dal seminato per fotografare senza dover sgomitare.

Melloblocco 2011

Claudia Zangerl on Mellolista

Mi chiedo però, le foto che posso fare oggi presentandomi agli organizzatori, parlando con le persone, cercando un contatto personale, sono ancora possibili quando sei uno fra i troppi che arrivano, ti sbattono un obiettivo in faccia e poi vanno via?

Sleddog. Dietro le quinte della Grande Odyssée

13 Aprile 2011 § 0 commenti § permalink

Grande Odyssée sleddog photo 01

Su ALP di aprile è uscito il mio servizio fotografico sul rapporto fra i cani da slitta e i musher scattato durante l’edizione 2011 della Grande Odyssée.

Grande Odyssée sleddog photo 02

Grande Odyssée sleddog photo 03

Grande Odyssée sleddog photo 04

E’ ormai da alcuni anni che fotografo il rapporto fra gli uomini e gli animali sotto vari punti di vista. Anche se oramai è un progetto che ha preso strade molto diverse.

Questa volta grazie alla collaborazione perfetta con l’ufficio stampa della manifestazione è stato veramente agevole seguire la le slitte fra strade ghiacciate, seggiovie notturne, motoslitte e pure un elicottero. Questo mi ha permesso di realizzare in pochi giorni una grande quantità di materiale.

Aggiungo qualche altra foto che non ha trovato spazio sul giornale:

Grande Odyssée sleddog photo 05

Grande Odyssée sleddog photo 07

EN Italian mountain magazine “ALP” published my reportage on the relationship between sled dogs and mushers shot during the Grande Odyssée 2011 edition.

Since a couple of years I’m working on the relationship between men and animals through its different aspects. It’s a long time photographic project, or maybe it has split in different ones. This time thanks to the job of the race organizers it was easy to follow the sleds on iced roads, night rides on chairlift, snowmobiles and even and helicopter lift, allowing me to produce a wide range of pictures in a few days.


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